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Intervento PROF. LUCIANO EUSEBI
Ordinario di Diritto Penale dell’Università Cattolica di Milano e Piacenza
Grazie. Innanzitutto un saluto molto caro a tutti per questa accoglienza, e vorrei muovere, come già era stato fatto dall’amico Toschi e dal Sindaco, un riferimento alla Costituzione, che qualche volta noi forse non valorizziamo adeguatamente. Che cosa ci dice la Costituzione in quel nucleo fondamentale che è dato dagli artt. 2 e 3? Non sono solo parole, e l’art. 2 ci parla dei diritti inviolabili dell’uomo e ci dice una cosa rivoluzionaria, che poi è stata base anche della Dichiarazione Universale dei Diritti Dell’Uomo, diversamente da tutta la tradizione precedente, perfino dalla tradizione liberale che ha tutti i suoi meriti, noi abbiamo l’idea che i diritti non vengono dallo Stato, non vengono concessi dall’ordinamento giuridico, e lo Stato è l’organizzazione giuridica che è al servizio dell’essere umano portatore di diritti in quanto tale; la Repubblica riconosce - non concede, non attribuisce – i diritti inviolabili, li riconosce, quindi al centro c’è la persona, tutto il resto è al servizio della persona. Poi questo si mette in stretta correlazione con l’art. 3 che ci parla di quei medesimi diritti inviolabili, quindi della dignità della persona nell’ambito sociale, dicendosi che quei diritti, dunque la dignità sociale, si hanno a prescindere da qualsiasi altra considerazione. Avete presente i “senza distinzioni di razza, di sesso, di lingua, di religione”, e poi si dice “di condizione umana o personale”. Che cosa vuol dire in sostanza? Senza nessuna distinzione, cioè i diritti inviolabili non dipendono – questo è importantissimo, rivoluzionario – da un giudizio sulle condizioni esistenziali, sulle qualità, sulle capacità che quella vita esprime in un dato momento del suo svolgimento. I diritti inviolabili dipendono esclusivamente dalla esistenza in vita, e questo – notate bene – è il fondamento del principio di uguaglianza in senso sostanziale. Perché siamo uguali? Perché i nostri diritti inviolabili non dipendono da un giudizio che altri possa dare delle mie condizioni, tanto meno da un giudizio che altri possa dare – quando l’umanità l’ha voluto fare ha fatto sfracelli – sul fatto che la mia vita sia degna o non degna di essere vissuta. I diritti inviolabili dipendono esclusivamente dalla esistenza in vita, siamo eguali perché ci riconosciamo reciprocamente come titolari di diritti per il solo fatto di essere in vita. Questo è assolutamente rivoluzionario nella nostra Costituzione. L’abbiamo attuato sufficientemente, o è un compito che ci sta ancora dinnanzi? Perché poi la Costituzione fa un passo ulteriore - già veniva ricordato in sede di introduzione – non si limita a dirle queste cose, ma poi, sempre nell’art. 3 dice che è compito della Repubblica – veniva ricordato prima – rimuovere gli ostacoli che si frappongono al fatto che questo divenga realtà.
Questo ci fa capire un’altra cosa estremamente importante: non basta affermare i diritti, anzi, vogliamo essere un po’ provocatori? I diritti non esistono, i diritti sono un’astrazione. Che cosa esiste davvero? Scusate, l’avete mai visto camminare un diritto per strada? Che cosa avete visto camminare per strada? I doveri, cioè il fatto che qualcuno si pieghi sulla situazione di difficoltà di un altro per farsene carico. Se qualcuno assume un dovere allora l’altro ha il diritto, ma il diritto è un’astrazione finché qualcuno non assume l’impegno di agire verso l’altro secondo la sua dignità, perché alla fin fine il messaggio della Costituzione sta tutto qui: il diritto che cosa è? E’ prima di affermare i diritti diventare consapevoli che io devo agire verso l’altro, verso ogni altro secondo la sua dignità, anche quando questo costa. Questo allora ci porta al significato anche del messaggio costituzionale nel suo più profondo: la democrazia non è soltanto il sistema dove ognuno può parlare, ci mancherebbe altro se non è importante, ma è di più; non è soltanto il sistema dove ognuno può votare, ci mancherebbe altro che è importante, ma la democrazia è quel sistema dove anche chi non ha forza contrattuale conta, la democrazia è quel sistema dove ognuno conta, dove il debole conta. Allora vedete, questo è molto facile dirlo da un tavolo, poi si tratta di tradurlo in realtà, e questo ci guida anche un pochino a superare certi stereotipi nel nostro Paese dove si fa un po’ politica su queste… Attenzione: per esempio abbiamo un po’ banalizzato a mio avviso, io non sono di espressione conservatrice, lo sa chi mi conosce per quanto riguarda tutta una serie di battaglie nel mio settore per la riforma del penale etc…, però a me sembra, se la vita umana è il presidio del mutuo riconoscimento tra ogni essere umano, a prescindere da un giudizio sulle sue condizioni, non conta se sei sano, malato, all’inizio o alla fine della tua vita che allora abbiamo davvero banalizzato anche i temi della bioetica e del rispetto della vita dall’inizio alla fine. Non è un tema né religioso, né di destra, né di sinistra, è un tema che attiene al fondamento della nostra democrazia, e su queste cose dobbiamo ritornare a dialogare, a lavorare insieme, perché io potrei anche aver finito perché poi sarà la Professoressa Messerini che, avendo una specifica competenza di ambito non solo costituzionale, ma amministrativo sull’ordinamento dello Stato, che magari ci potrà cominciare a dire qualche cosa sulle legislazioni che potrebbero migliorare a tutela delle situazioni deboli dove oggi noi abbiamo la necessità di fare dei passi avanti, ma indugiando ancora un poco così su alcune riflessioni di fondo forse già nella nostra società ricreare serenità nel guardare senza steccati, senza contrapposizioni a queste esigenze assolutamente fondamentali io lo ritengo importante, senza diffidenze. Io per esempio devo dire che ho qualche timore che una certa enfasi – si diceva all’inizio non facciamo… e sono d’accordo – che qualche volta non mette al centro quello che oggi invece giustamente insieme abbiamo messo al centro, cioè il massimo aiuto possibile verso chi vuole vivere, può avere anche degli effetti che vanno un poco sbilanciati, oggi si parla con tanta facilità del diritto di morire. Attenzione: siamo tutti d’accordo che l’intervento terapeutico non deve mai essere un intervento sproporzionato? Siamo tutti d’accordo nella riflessione sul modo corretto di intendere il concetto di proporzione? Io ho qualche perplessità nell’immaginare che una materia così delicata possa oggi essere trattata come se insieme democraticamente non abbiamo più nulla da convivere, nessuna criteriologia da condividere, c’è soltanto da fare riferimento a un’espressione formale di volontà, quale essa sia, a prescindere da un giudizio sul tipo di intervento che si sta effettuando sulla sua proporzione. Su questo possiamo essere estremamente aperti, ma attenzione un poco ai messaggi. Io ricordo quello che gli psicologi olandesi, non un singolo, ma l’associazione degli psicologi olandesi più di dieci anni fa disse al governo olandese nel momento in cui ci si orientava a una certa scelta legislativa, che voi conoscete bene “Attenzione, perché si rischia di fare una cosa che non deve avvenire, che comunque insieme dobbiamo evitare, e cioè che i soggetti deboli vengano a trovarsi in una situazione di maggiore debolezza, perché fino a ieri l’essere curato anche in situazione di precarietà esistenziale - non sto parlando delle situazioni dove la terapia sarebbe una sproporzione – era la normalità, da oggi in poi diventa una tua scelta”, e si insinua un tarlo molto pericoloso, forse gli altri, forse la società si attendono un mio passo indietro. Non dobbiamo trascurare che dinnanzi a queste problematiche esistono anche problemi, anche considerazioni di carattere economico, dobbiamo evitare in tutti i modi che ci sia una colpevolizzazione dei malati, delle famiglie, che anche in condizioni dove la guarigione non è più possibile, chiedono, anche se la malattia è una malattia degenerativa, ma può ancora dare spazio esistenziale, di essere curati.
Io ho seguito la persona a me più vicina in una lunghissima vicenda oncologica che non è certamente la stessa cosa delle situazioni di cui stiamo parlando quest’oggi, ma cinque anni prima che quella vicenda si concludesse qualcuno anche autorevole sul piano medico ci diceva “Ma perché chiedete ancora terapia? In fondo si sa già come va a finire”. A parte il fatto che si sa come va a finire della vita di ciascuno di noi a prescindere, però attenzione: la vita non va quantificata soltanto dal punto di vista dell’efficienza materiale, e dobbiamo ribaltare – tornando a quell’idea iniziale – l’idea – è già stato detto prima molto bene – che quanto qualcuno assume un impegno, che può essere anche sacrificio, per essere vicino, per dare dignità all’altro che fa – tra virgolette – una sorta di elemosina, una sorta di atto melenso, così caritatevole, ma nel senso deteriore del termine, noi dobbiamo riscoprire nella società una cosa che in fondo è essa pure implicita al testo costituzionale: che tu come persona che magari hai la fortuna di star bene di realizzi non nel momento in cui butti via dalla tua vita tutti gli incontri che ti chiedono qualche cosa, perché se vivi così puoi anche vivere 90 anni o 120 anni e non costruisci niente, perché se hai eliminato dal percorso della tua vita – come si fa quando si va a giocare a bowling che si buttano via tutti i birilli – ti accorgi che sì, magari hai avuto una vita apparentemente facile, ma ti sei privato di tutte le occasioni dove tu potevi essere autenticamente te stesso, perché ciò che tu sei di più grande lo sperimenti solo quando non sei egoista, ma quando sei capace di dare, quindi il piegarsi sulle situazioni di difficoltà non è un solo dare, ma anche un realizzare se stessi. Allora davvero, io non credo che poi dopo ciò che chiedono le famiglie sia la solitudine anche nelle situazioni che danno tanti gravi problemi di decidere da soli, noi dobbiamo ancora saper condividere nel nostro Paese delle criteriologie che ci portano a dire “Decido io quando muori tu, quando muore tua madre, tua figlia”, ma se insieme diciamo se questa terapia è proporzionata o non è proporzionata, ma insieme diciamo nel momento in cui valutiamo se una terapia è proporzionata o non è proporzionata che in tutti i casi in cui non dovessimo riconoscere che ormai un intervento terapeutico non ha più senso in tutti quei casi ci impegniamo fino in fondo senza sé, senza ma, per essere vicino a chi non vuole vivere, ma a chi ha davvero diritto di vivere perché è membro prezioso della società, e chi l’ha mai detto che chi da più alla società è chi si manifesta soltanto efficiente sul piano dei rapporti che possono essere pesati dal punto di vista economico?
Allora il mio messaggio essenzialmente è questo: non usiamo i problemi in termini di contrapposizione – già lo si diceva all’inizio – ma torniamo a guardarli i problemi, a guardarli nel loro spessore, a sentirci amici nel guardare i problemi nel loro spessore e a renderci conto che proprio nei casi in cui da un punto di vista materiale ci potrebbe sembrare ma non ha senso intervenire, ma non ha senso essere vicino anche a quel malato che magari vive una condizione estrema di povertà esistenziale, magari non sappiamo neanche se c’è un barlume di coscienza o non c’è un barlume di coscienza. Quando la società mostra di essere vicina anche ai suoi membri più deboli e più umanamente deprivati da’ un messaggio straordinario perché mostra di essere davvero una società solidaristica, e questo noi lo dobbiamo dire con forza, anche perché dobbiamo riconoscere che non è possibile, lo abbiamo capito ormai da 2.000 anni di riflessione filosofica, non possiamo distinguere nell’essere umano un corpo che è solo il corpo sul quale poi chissà da dove verrebbero le dimensioni psichiche, intellettive, cognitive, la realtà umana è una realtà unitaria, quando inizia l’avventura del corpo a quell’avventura del corpo si associa lo strutturarsi di tutto ciò che esprime l’umano, l’umano non è l’appiccicamento di una dimensione corporea e di un’altra dimensione, tutto ciò che è l’umano, tutto ciò che è certamente più grande della mera biologia si esprime attraverso il suo corpo, e allora finché noi riconosciamo un individuo in vita come potremmo mai dire che lì ormai c’è solo un corpo e non c’è l’umano? Sarà un’umanità ferita, sarà un’umanità che ci chiama alla solidarietà, ma è fondamentale questo elemento di attenzione verso queste realtà umane, che sole garantiscono se non le abbandoniamo, che la nostra società sia davvero democratica, allora non dobbiamo assolutamente avere paura di riflettere insieme anche sui temi sui quali magari oggi si teme, perché poi si dice “Ah, ma allora tu sei in uno schieramento, tu sei…”, pensate semplicemente al problema enorme del terzo millennio di come useremo i dati genetici: se li useremo in senso selettivo o in senso curativo, se li useremo per fare genetica quando la vita è già iniziata o li useremo invece per migliorare le terapie? Sono problemi enormi, non sono problemi ideologici, sono problemi che ci debbono accomunare. Io sono stato 4 anni nel Comitato Nazionale per la Bioetica, erano presenti tante posizioni ovviamente, riuscivamo a discutere animatamente, ma anche in certa misura ad essere amici. Voglio farvi un piccolo esempio che forse fa un po’ il paio con quello che diciamo oggi: se c’è un tema dibattuto nella nostra società è l’aborto. Va bene. In Comitato Nazionale con 2 anni di lavoro - poi l’hanno dimenticato tutti – eravamo riusciti a fare un gruppo di lavoro che ha pubblicato – lo potete guardare nel sito “Comitato Nazionale per la Bioetica, Pareri” un documento firmato da tutti sull’aiuto alla donna in gravidanza, sul massimo aiuto alla donna in gravidanza in senso di prevenzione. E’ stato firmato da tutti, si è fatto abbastanza? Mi pare proprio di no, e allora nella nostra società nonostante tante divisioni c’è la possibilità di condividere, il tema di cui diciamo stasera ben difficilmente troverà qualcuno che dice “No, non si deve aiutare le persone con gravissimi problemi”, ci mancherebbe che qualcuno dica di no, ma abbiamo fatto finora abbastanza? Come in quell’occasione è giusto aiutare la donna in gravidanza? Certo che è giusto, ma abbiamo fatto abbastanza per prevenire poi quell’evento, che è un evento comunque tristissimo per la vita e anche per la donna? Nella nostra società c’è molta possibilità di riprendere un cammino di dialogo e di condivisione, lo dobbiamo assolutamente fare.
Il mio intervento è stato soltanto un messaggio di stimolo, mi fermo, ma credo che sia una cosa importante.