Riflessioni Eusebi-Canavacci
PROF. LUCIANO EUSEBI
Ordinario di Diritto Penale dell’Università Cattolica di Milano e Piacenza
Volevo buttare lì soltanto un completamento, una precisazione, una riflessione su un punto che la Dottoressa Canavacci ha toccato, possiamo magari non essere pienamente d’accordo, ma rimaniamo amici proprio in questo stile di passione comune: io ho delle perplessità che l’art. 32 II comma della Costituzione istituisca il diritto di morire, istituisce un’altra cosa che era anche implicita in quanto veniva detto dal Dottor Bongioanni, e cioè che certamente il medico non può intervenire manu militari, ma altra cosa è dare per scontato che qualsiasi interruzione di terapia e qualsiasi prescrizione per il futura possa essere fatta senza una valutazione del contesto, della proporzionatezza di quella terapia, del resto lo stesso art. 32 della Costituzione per quasi 40 anni mai gli si era fatto dire che una relazione intersoggettiva può essere giocata per la morte. Certamente vanno interrotte terapie che siano diventate sproporzionate e insieme dobbiamo riflettere su questo nodo della proporzionatezza, degli elementi che entrano nel giudizio di proporzionatezza, ma una derivazione dall’art. 32 della Costituzione secondo cui può oggi nascere una relazione che di fatto ha una finalità che non è più quella della tutela della salute questo mi lascia perplesso proprio per quegli effetti che ne possono derivare. Uno che forse questa sera va pur sempre detto, oltre a quelli che cercavo di esprimere prima, è come tutta la psicologia clinica ci insegna a leggere un poco più nel profondo anche le dichiarazioni. Già prima sono emersi termini come quello di “rimozione”, ci sono delle fasi in cui si reagisce con una rimozione, che però non rappresenta il mio effettivo sentire ad una situazione ingrata immediata, e ci sono delle modalità in cui si protesta con una dichiarazione di non volere più nulla, un abbandono e una solitudine. Io però davvero, ho voluto mettere questa riflessione in un termine di totale… non ho usato a caso l’espressione “amicizia”, possono esserci anche degli aspetti che oggi vengono visti in maniera differente, però dobbiamo andare avanti a riflettere e ad ascoltarci reciprocamente in queste diverse riflessioni di fondo, perché questo credo che sia molto importante.
Vi ringrazio, e ringrazio anche lei della pazienza.
LAURA CANAVACCI
Commissione Regionale Toscana di Bioetica
Io ringrazio il Professor Eusebi, aspettavo, in realtà volevo andare via perché ho un impegno a casa, ma non ci riesco perché la passione mi ha trattenuto e ne sono molto lieta, quindi colgo l’occasione per rispondere, mi dispiace se mi sono mal espressa, non penso neanche io che la Costituzione sancisca un diritto a morire, anche perché non riesco neanche a identificare come possa costituirsi un diritto a morire, ma mi riferivo all’art. 32 quando dice che nessuno può essere obbligo a un determinato trattamento, se non per disposizione di legge, che è un trattamento sanitario obbligatorio che ha ben altre applicazioni, è il T.S.O., e in questo senso penso al diritto anche del grave disabile di scegliere a quali trattamenti essere sottoposto e a quali no, qual è il limite oltre il quale quel trattamento non è più proporzionato alle sue condizioni di vita. Quindi penso che in quel giudizio, che giustamente il Professor Eusebi richiamava alla proporzionatezza dei trattamenti, non si possa non mettere in campo la voce di chi quel trattamento lo deve subire, quindi ho soltanto dei dubbi sul fatto che quel giudizio di proporzionalità possa essere fatto a priori da qualcun altro quando c’è davanti una persona che è perfettamente abile a stabilire se quel trattamento è proporzionato o no alla sua situazione, questo solo. Le sentenze in questo senso mi pare siano state molto chiare, non esiste un diritto a morire, non esiste un diritto a richiedere un atto attivo, anche perché l’eutanasia è vietata dal nostro Ordinamento, quindi non credo che in nessuna maniera si possa in questo momento parlare di “diritto all’eutanasia”, si parla di un diritto a quali trattamenti essere sottoposti.
PROF. LUCIANO EUSEBI
Ordinario di Diritto Penale dell’Università Cattolica di Milano e Piacenza
Ma il problema è proprio questo: io credo che lei e io su questa riflessione sulla proporzionatezza potremmo arrivare a grandi margini di accordo, certo lo sappiamo benissimo che nessuno oggi discute di un’eutanasia attiva, il problema è proprio quello: se l’interruzione o la prescrizione per il futuro possa prescindere da un giudizio sulla proporzione. Una proporzione che certamente integra anche aspetti del vissuto soggettivo, ma si tratta di vedere se diventa un criterio suscettibile di una condivisione o se diventa una totale soggettivizzazione. Su questo si gioca molto, potremmo essere anche non d’accordo su alcuni aspetti di questo, ma abbiamo credo messo in evidenza un aspetto molto delicato, anche se era tangenziale rispetto alla passione comune che oggi abbiamo per l’aiuto alle persone in difficoltà.
LAURA CANAVACCI
Commissione Regionale Toscana di Bioetica
Sì. Più che altro alla volontà di ricordare che queste disquisizioni, sulle quali io poi credo ci sia invece un margine ampio di accordo, anche la sentenza su Eluana Englaro non dice “Un rispetto della volontà incondizionato” ma dice “Un rispetto della volontà condizionato all’accertamento di determinate condizioni cliniche”, sulle quali poi si può essere d’accordo o meno, sulle quali la scienza può discutere, però comunque richiama un giudizio di proporzionatezza rispetto agli interventi, quindi un giudizio semioggettivo, che è quello della scienza. Però la cosa importante secondo me è che queste disquisizioni non vadano a coprire, non siano presentate o percepite in antitesi a invece un riconoscimento di una soggettività che chiede la rimozione di quegli ostacoli all’espressione di un’autonomia che è nella vita quotidiana.